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Un ostinato percorso d’arte

Un ostinato percorso d’arte

Nicoletta Gatti, artista vogherese, tra linee che diventano fili, reinterpreta le trame dei tempi. Un’artista rigorosa che coniuga nuove sperimentazioni con echi dei maestri rinascimentali.

I risultati di uno studio esplorativo indicano che l’esposizione ad arti visive mediata da un esperto d’arte migliora la memoria. Entrano qui in campo specifici meccanismi cognitivi e neurali su cui Nicoletta Gatti ha meditato per trasferirli nella sua espressività più recente. Nel suo atelier, tra le altre, alcune tele rimandano a tracciati di circuiti cerebrali, allusivi d’una “disruption” (mutuando il linguaggio di chi sta vivendo – come gran parte di noi, volenti o nolenti – l’era digitale).
Una rottura degli schemi, una svolta perentoria non solo tecnica, ma anche concettuale, che è propria di un percorso artistico in cui la ricerca è senza soluzione di continuità.
Ha, consciamente o no, bruciato le tappe. La sua è stata un’ostinata ricerca nella convinzione che l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma “rende visibile” quelle che sono le nostre passioni, i nostri pensieri, gli inconsci desideri. Dalle grandi finestre del suo atelier, all’ultimo piano di un palazzo davanti ai giardini della Stazione di Voghera, la vista oltrepassa i tetti delle case e dei palazzi della città e si allunga sulle colline dell’Oltrepò. Che la distanza e l’ora della giornata fa apparire sfumate di azzurro intenso. Qui confluiscono e prendono forma gli input della ricerca, un impegno a cimentarsi con un poco contenibile travaglio conoscitivo. Seguendo il quale, dopo aver voluto impadronirsi anche delle tecniche pittoriche più tradizionali (andando a cercare, addirittura, il modo di farsi da sé i colori, a documentarsi sui pigmenti delle botteghe d’arte dei maestri rinascimentali) e aver realizzato opere che riprendono inconsciamente i maestri che l’hanno influenzata (da Giorgio Morandi a Paul Klee, a Afro Basaldella, a Filippo Santomaso, a Mark Rothko) è approdata a una modalità espressiva che scavalca quasi in maniera dirompente le modalità che aveva seguito negli ultimi anni.
Le sue “tracce”, che sono state il motivo trainante delle recenti mostre a Madrid e alla milanese “Lo Scoglio di Quarto” e che fino a ieri, hanno costituito il tema conduttore della sua modalità espressiva, si sono materializzate non più condotte dal pennello sulla tela tradizionale ma tradotte in tessiture, in fili che si ricorrono e si intrecciano, intersecando altre venatu-re costituite non più da brani di colore, ma da sorta di rammendi (l’inconscio vola ai sacchi di Burri, volendo), di “gliommeri” conoscitivi (vedi Carlo Emilio Gadda e le problematiche esistenziali e epistemologiche che afflig-gono il commissario Ciccio Ingravallo, l’ispettore di polizia di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”)

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