Giancarlo Soldi. Lo stupore, l’arte
Un artista che ha fatto dello stupore il punto da cui partire per rendere la multiforme realtà tra invenzione e ricordo
Quell’incantevole vecchietto che è Giancarlo Soldi da Ovada ha conservato la capacità tipica dei bambini di divertirsi con nulla, di costruire mondi in poco spazio, di entusiasmarsi, di essere contemporaneamente dentro e fuori dalla realtà che lo circonda, di guardarsi attorno con gli occhi puliti, di mantenere i ricordi freschi.
Come un bambino ama colorare, ritagliare, incollare, costruire. Come un bambino ama i presepi, i teatrini e le favole.
Come un bambino ama le macchine, sia quelle semplici come le biciclette sia quelle più complesse come gli aeroplani.
Come un bambino è felice di mostrare ciò che ha realizzato. Fa venire in mente Emily Dickinson quando scriveva:
To make a prairie it takes a clover
and one bee,
One clover, and a bee.
And revery.
The revery alone will do,
If bees are fewPer fare una prateria bastano un trifoglio
e un’ape.
Un trifoglio, e un’ape.
E un sogno.
Il sogno da solo basterà,
Se le api sono poche.
Vale a dire che in mancanza della concretezza, basta, anche da sola, la visione. Ecco, le creazioni di Soldi sono così,
tutte fatte di revery. Non gli servono grandi mezzi, gli basta della carta sottile che si possa colorare (la sua tavolozza è una scatola piena di foglietti di ogni colore), un po’ di Vinavil, qualche cartoncino, i suoi ricordi (che in alcune sue opere rappresenta come scatole semi-aperte da cui spunta un lembo di stoffa) e il gioco è fatto.
E così nascono i suoi aeroplani tridimensionali, come quelli che vedeva da bambino passare sulla terrazza della casa degli zii a Genova, i suoi ciclisti – come lui è stato per volontà del padre finché non gli è toccato soccombere alla nausea che gli davano le salite – e i suoi teatrini, abitati da personaggi delle favole o delle opere che sentiva al Massimo di Palermo quando da militare accompagnava a teatro la famiglia del colonnello di cui era attendente. E naturalmente i presepi o le orchestre nei quali la sua manualità trionfa, permettendogli di realizzare solo con carta e colla addirittura gli arrotini con i loro banchetti e gli strumenti musicali, perfetti nei loro particolari pur nelle loro dimensioni minuscole.
Allora non ci resta che concludere che Soldi è un poeta cioè, come dice Pascoli, un uomo che conserva “la sua antica serena maraviglia”.
Spronato da un talento innato
Di fronte a tanto garbo e a tanta sensibilità viene spontaneo domandarsi come nasca l’artista Giancarlo Soldi: si tratta in realtà di un autodidatta assoluto, che sembrava destinato a tutt’altro. Nel corso della sua vita ha infatti aiutato suo padre in bottega, ma ha anche governato le bestie di famiglia in campagna durante la guerra; è entrato in filanda quindicenne e ci è rimasto per tre anni, ha lavorato un po’ come orafo, ma ha anche fatto lo stradino; ha avuto per un po’, insieme a dei soci, un’officina in cui si facevano nichelatura, bronzatura e lucidatura anodica per l’alluminio, ma è anche stato, temporaneamente e con pochissima fortuna, rappresentante di una ditta di caramelle.
La liberazione per lui è stata la scoperta che, lavorando di notte, prima come guardiano e poi come benzinaio, aveva tutto il pomeriggio a disposizione per fare ciò che amava.
Fin da bambino aveva dimostrato un talento naturale per il disegno (ma il padre, con il ciclismo in mente, ha rifiutato di fargli prendere lezioni di disegno) e non ha mai smesso di esercitarsi, ma avendo poca dimestichezza con i pennelli ha scelto il collage.
Ma il suo è un collage di tipo particolare, che può ricordare un po’ lo spirito del commesso di pietre dure, vale a dire che non incolla solo forme, ma anche colori. Lo si vede benissimo nei suoi paesaggi, che lui definisce “raffigurativi più che figurativi”, in cui con il cartone ondulato, da lui dipinto ad acrilico (non usa la carta colorata perché le tinte sbiadiscono) di verde o di marrone, ci restituisce la visione della sua campagna dall’alto: i campi coltivati o arati e le vigne, le ondulazioni del cartone possono essere sia filari che solchi, e se vuole aggiungere qualche albero ecco che della carta di un altro verde, opportunamente ritagliata, ce ne mostra le chiome.
L’aria di mare, il noce, le vigne, l’erba e le colline: la sua terra è fatta di questi elementi essenziali. Ma l’essenzialità gli appartiene perché, se è vero che all’occorrenza sa essere molto minuzioso, come nei personaggi dei suoi teatrini, dei presepi o delle orchestre, è anche in grado di evocare un mondo tramite una foglia, appoggiata su uno scheletro di scatola, su uno sfondo quasi monocromo o racchiudere tutto lo spazio, fino all’ultimo orizzonte, nei suoi minuscoli trittici di paesaggi visti tra le sbarre di un balcone.
Una svolta
con “Due sotto l’ombrello”
Piano piano la fedeltà di Soldi al proprio sogno ha fatto sì che gli Ovadesi scoprissero l’artista nel benzinaio notturno e lo ha fatto entrare in contatto con i giovani dell’associazione “Due sotto l’ombrello” con i quali si è lanciato in un’avventura speciale. Attorno alla metà degli anni novanta infatti Mirco Marchelli, artista e musicista (di cui Oltre si è occupato nel n. 146, anno 2014), ha avuto l’idea di ripetere quanto aveva fatto Stravinsky nel 1918 quando, insieme agli amici Rumuz e Ansermet, decise di creare un piccolo teatro trasportabile per presentare nei villaggio della Svizzera, paese in cui all’epoca risiedeva, una rappresentazione ispirata a una delle fiabe di Afanas’ev: l’Histoire du soldat.
Marchelli si è occupato della parte musicale e ha diretto i sette musicisti (tra i quali c’era Osvaldo Palli, che era stato
primo violino al Carlo Felice), Raffaella Romagnolo ha tradotto il testo in versi di Ramuz e ha curato la regia, mentre Soldi si è inventato un teatrino di tre metri di larghezza e quattro di altezza (lo si poteva trasportare, smontato, in due automobili) con quattro scenari che si arrotolavano e srotolavano a seconda del bisogno.
Così attrezzati sono andati in tournée tra l’Ovadese e l’Alessandrino,facendo anche tappa a Genova a Palazzo Ducale, un momento che Soldi ricorda con grande emozione. Gli interpreti non erano sempre gli stessi e tra quelli che hanno vestito i panni del diavolo c’è stato anche Davide Paravidino.
Imprese d’altri tempi, quando chi aveva spirito di iniziativa riusciva ancora a trovare gli interlocutori pubblici e i fondi per dare vita alle proprie idee e quando non c’erano ancora pandemie che ci obbligavano a chiuderci in casa.
Per fortuna Giovanni Soldi sa anche creare teatrini minuscoli, che si possono appoggiare su una mensola di casa. E speriamo che non smetta mai.
Lia Giachero