Ricordando Alfredo Bertucci
A Voghera ha lasciato sgomenti il tragico destino di Alfredo Bertucci e della sua famiglia, vittime senza alcuna clemenza di questa pandemia. Alfredo e i figli Claudio e Daniele, ricoverati all’0spedale di Voghera. se ne sono andati a pochi giorni di distanza uno dall’altro.
Alfredo Bertucci, 86 anni, è stato un fabbro molto apprezzato, forgiava il ferro con arte realizzando forme che sembravano modellate nell’argilla. La rivista Oltre diversi anni fa gli aveva dedicato un servizio, riconoscendone la sua eccellenza di artigiano.
Per ricordarlo riproponiamo con commozione il testo che aveva redatto Italo Cammarata sul numero 100 della rivista (2006).
luglio-agosto 2006
COL FERRO E COL FUOCO
Dove Bertucci padre e figlio lavorano i metalli
Vulcano & figlio hanno l’officina a due passi dalla Staffora sulla circonvallazione di Voghera. Non è l’antro nero dell’ omerico dio zoppo ma per arrivarci bisogna superare un cortile tutto affollato dalle macchine di una concessionaria. E lì, dopo tante lamiere leccate e metallizzate, curvate, cromate e polishate che più lustre non si può, ecco un fuoco primitivo sempre acceso quasi al centro di uno stanzone e la fiamma che rosseggia fra i carboni, pronta a far arroventare il nero ferro fino a liquefarlo.
Varcata la soglia, tutto è come ai tempi del dio Vulcano, e anche le parole diventano più gravi e più umane di quelle che sentite in banca o sul treno. Qui c’è ancora il ricordo di tempi antichi, che Bertucci Alfredo e il figlio Claudio cercano di conservare o almeno di prolungare. Vengono in mente i tempi, non tanto lontani, in cui il fabbro era sinonimo di forza creativa, e quando le tessere del vecchio Partita Socialista sfoggiavano in copertina un bel fabbro baffuto e nerboruto. Si diceva fabbro ed era come dire ‘forgiatore di destini’ più che umile battitore di ferro.
Alfredo Bertucci non è di Voghera e la sua vita è una specie di documentario dell’Italia del dopoguerra. E’ nato 68 anni fa ad Adria, e lì viveva in una grande cascina stile “albero-degli-zoccoli”, dove tenevano bottega tutti gli artigiani che servivano alla manutenzione di carri, attrezzi e macchine: “E’ lì che ho cominciato a vedere i fabbri che scaldavano il ferro e lo martellavano”, ricorda Bertucci con un po’ di nostalgia. “Io stavo a guardare. Ero un bambino molto curioso”. A noi viene in mente la vispa testa rasata dei bimbi nel film di Olmi.
La scena si interrompe con la grande alluvione del Polesine del 1951. In quella tragedia nazionale, Bertucci e famiglia sono costretti a sfollare. Ed eccoli arrivare a Voghera, dove suo padre riprende a fare il suo lavoro da contadino mentre Alfredo (licenza elementare in tasca) trova lavoro prima alla Arona e poi alla Brambati. Già durante il servizio militare è finito nell’ officina del reparto, dove ha cominciato a costruire piccoli oggetti in ferro battuto. Entrando ora in azienda, cerca tutte le occasioni per soddisfare questa sua passione; finché nel 1965 si licenzia e si mette in proprio insieme con un socio. Finalmente fa il fabbro.
“Costruivamo piccoli oggetti di ferro che venivano dati in omaggio ad alcune ditte con le uova di Pasqua o con scatole di cioccolatini particolarmente importanti. Ma era quasi un lavoro in serie. Poi abbiamo iniziato a fare qualche oggetto d’arredamento: lampade, portavasi, attaccapanni. Così abbiamo cominciato a farci conoscere in giro e sono arrivati i primi clienti a chiederci ringhiere, cancellate e altro”.
Bertucci figlio ha studiato da perito elettronico ma non ha mai preso in mano un cacciavite. Si è subito messo a bottega col padre e da lui ha imparato quasi tutto. I primi tempi però sono stati duri per lui: “Questa è una manualità che si acquista con il tempo, molto lentamente e con tanta pazienza”, commenta suo padre, e tira fuori una frase che ci colpisce per la sua semplice genialità:
“E’ difficile dare grazia al ferro”.
I Bertucci mi mostrano una ringhiera per balcone appena eseguita per una villa vogherese su disegno di Lino Reduzzi, con pampini e foglie che sembrano balzare fuori dai ferri: “Reduzzi ci ha portato un disegno su carta”, spiega semplicemente Bertucci padre, “e noi l’abbiamo eseguito dandogli la terza dimensione che sulla carta si poteva soltanto immaginare”. Le foglie appaiono fenomenali nella loro naturalezza, quasi dovessero oscillare al primo colpo d’aria: “Ho il senso della natura”, dice Bertucci senza falsa modestia.
“Mi piace osservare come sono fatte le piante anche nei piccoli particolari”.
E anche gli animali. Sul suo banco di lavoro, infatti, trovo posato per caso un piccolo oggetto con un serpente che avvolge le sue spire attorno ad una rosa: “I serpenti mi fanno una grande impressione ma ho voluto cercare di riprodurlo in tutti i particolari”.
A Voghera e altrove
I pezzi unici della bottega si trovano un po’ dappertutto. A Tortona due candelabri in stile gotico sono davanti alla salma di Santo Orione. Anni fa Bertucci ha lavorato per il Comune di Milano curando la parte in ferro battuto della Palazzina Liberty, quei disegni che milioni di spettatori ai tempi della Compagnia di Dario Fo hanno ammirato, senza nemmeno immaginare da dove venissero. Sempre a Milano, per importanti ville (dove li ammireranno soltanto pochi eletti amici dei padroni di casa) i Bertucci hanno costruito pezzi importanti d’arredamento, come una ringhiera per scala disegnata dall’architetto Marchesi di Tortona e che da l’impressione di tante stringhe una diversa dall’altra che pendono con aerea leggerezza dal bastone portante. Un suo portamenù molto sussiegoso svetta davanti all’entrata del ristorante Ratstube di Rotemburg in Germania.
Ma Bertucci non si è montata la testa. A 68 anni gli scappa detto: “In questo mestiere c’è da migliorare sempre perché è un lavoro creativo”.
In questo mestiere occorre anche molto controllo perché è molto facile lasciarsi trascinare nel “pacchiano” dalla richiesta di clienti danarosi. Basta un attimo per trovarsi davanti un oggetto kitsch. Pesante come il ferro, mentre avrebbe potuto essere “leggero come il ferro”.
Quanto è cambiato questo mestiere con il progredire della tecnologia? I Bertucci non rifiutano di servirsi delle macchine, quando è possibile. Mi mostrano una rosetta a sei punte di lamiera piatta, ritagliata con precisione da un laser; da questo pezzo tecnico, loro partono per arricciarne i petali fino a ricavarne un fiore o un frutto a tutto tondo. Nel finale non si vedrà più né una saldatura né un taglio hi-tech. Anche i materiali sono cambiati: “Il ferro è diventato più duttile, meno carbonioso mentre prima era quasi una ghisa. Noi usiamo anche l’ottone e il rame senza problemi”.
Italo Cammarata
Oltre n. 100 – 2006