4 – I giorni e le opere di un maestro assoluto della messinscena
Quarant’anni di regìa televisiva e tanto altro ancora
a cura di Nuccio Lodato
1924
18 gennaio: nasce a Voghera, perché il padre è ufficiale superiore nella caserma di Cavalleria, allora “Vittorio Emanuele II”, della città. La famiglia è originaria di Novi Ligure, cui resta legata: il regista vi farà spesso ritorno nei fine settimana in visita alla madre, anche negli anni del successo.
1938
Risiede coi genitori a Sesana (oggi Sežana, in Slovenia: allora Italia), dopo un trasferimento legato alla carriera militare paterna. Frequenta i successivi studi a Fiume e il liceo a Trieste, dove ha come insegnante di lettere Giani Stuparich, che dopo la maturità, al momento del congedo, gli vergherà di pugno, sulla sua copia da studente e appassionato lettore de La coscienza di Zeno, la dedica «un libro che dovrai amare per tutta la vita».
Fa i primi passi come attore nel locale Guf, prima del trasferimento della famiglia, sempre in ragione delle incombenze di servizio paterne, a Bologna. Conseguita la laurea in Lettere, proseguirà nell’esperienza teatrale, inclinando però verso la regìa, e iniziando del pari un’attività giornalistica.
1948
Fa gruppo con una cerchia di amici bolognesi tutti destinati, come lui, a grandi cose: Lamberto Sechi, Enzo Biagi e Giuseppe Pardieri saranno tra i principi del giornalismo italiano nella seconda metà del secolo (e l’ultimo figura-chiave anche della vita teatrale bolognese e nazionale); Luciano Damiani, architetto, diverrà scenografo di fama internazionale; Giorgio Vecchietti, reduce dalla problematica esperienza condirettiva di “Primato” con Bottai, ma destinato ai fasti del giornalismo politico pionieristico in tv; Massimo Dursi, commediografo esordiente, che metterà anche in scena; Vittorio Vecchi, futuro alto dirigente Rai.
Tutti insieme dànno vita a “La Soffitta”: primo tentativo, col “Piccolo” di Milano, che Paolo Grassi e Giorgio Strehler hanno aperto da pochi mesi, di un teatro istituzionalmente “stabile”, allora assoluta novità per l’Italia.
Vi conosce l’aspirante attrice Welleda Zangarini, che sposerà due anni dopo.
L’iniziativa si propone come “Teatro della Città di Bologna”. Il primo titolo proposto è Tartufo di Moliére.
1949
Allestisce tra l’altro alla “Soffitta” Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, col titolo Il barbiere di Siviglia, tre anni dopo la mitica versione di Luchino Visconti con Vittorio De Sica protagonista al Quirino di Roma.
Stende il soggetto che verrà realizzato, probabilmente anche su interessamento di Memo Benassi che vi prende parte, del film di coproduzione italo-francese di Maurice Gam La taverna della libertà, che uscirà l’anno successivo. Pubblica su “Cinema” (n. 29 della nuova serie, 30 dicembre) l’articolo I doppiatori hanno fretta.
1950
Vi mette in scena anche la novità dell’amico bolognese Dursi La giostra: scenografo anche stavolta è Damiani, futuro collaboratore stabile di Strehler al Piccolo milanese per i suoi maggiori allestimenti. Direttore di scena fisso è Giancarlo Zagni, poi a sua volta regista. Riproporrà fedelmente l’opera seconda dell’autore compagno d’avventura, poi drammaturgo di vaglia e critico teatrale del “Carlino”, in tv ventidue anni più tardi.
1952
Risulta coinvolto, a livello di scrittura, nella preparazione del film di Goffredo Alessandrini Camicie rosse, a fianco degli amici Biagi e Renzo Renzi, cui i credits accorderanno l’ufficialità di soggetto e sceneggiatura.
1953
“La Soffitta”, dove ha poi realizzato tra l’altro anche L’imperatore Jones di Eugene O’Neill in prima europea assoluta, Il malinteso di Camus e L’avaro di Molière, chiude per problemi finanziari. «Dopo il Piccolo di Milano eravamo il teatro più autorevole d’Italia. In seguito mi dedicai all’opera lirica, al “teatro radiofonico” a Milano. Lavoravo collegato col gruppo di Bruno Maderna e Luciano Berio, in un centro di fonologia nel quale si catturavano voci, rumori, effetti, musiche che venivano in qualche modo stralunate e rese metafisiche in misura straordinaria. Feci con loro Sette piani di Buzzati, in cui si racconta la storia di un delirio. In totale avrò fatto per la radio cento commedie». [Giorgio Tabanelli, Il teatro in televisione, I, Rai-Eri 2002, da cui anche tutte le successive citazioni in corsivo].
1954
3 gennaio: iniziano in forma ufficiale le trasmissioni tv della Rai.
1955
Nasce a Bologna il 15 aprile la figlia, unica, Susanna.
1956
Debutta nella regìa televisiva sul Programma Nazionale (il solo di allora…) allestendo per il 2 gennaio un’opera lirica per bambini, Ahmal e gli ospiti notturni di Gian Carlo Menotti, il primo atto unico composto espressamente nel 1951 per la tv negli Stati Uniti, su tematica natalizia (Orchestra e Coro Rai di Milano, direttore Ferruccio Scaglia). Il 3 agosto la prima regìa teatrale in tv: Una bella domenica di settembre di Ugo Betti. Due settimane dopo allestisce alla radio Il re degli uomini di venerdì di Michael O’Molloy.
1957
Fonda a Roma con Mario Lanfranchi la casa di produzione pubblicitaria “B. L. Vision” (per Bolchi Lanfranchi: poi “Intervision”) in concomitanza con l’esordio tv di “Carosello”, dalla celebre sigla inventata da Luciano Emmer (3 febbraio). Dirigerà più avanti di persona Alberto Lionello nella seconda versione del celebre sketch apposito, impersonato nella prima da Ernesto Calindri, per il “Cynar”: sarà poi definito da Pupi Avati “capolavoro dadaista” [La grande invenzione – Un’autobiografia, Bur 2013]. Dirige anche per la Ferrero la serie tratta da Cuore. Gli spettatori abituali di “Carosello” faranno segnare cifre competitive con quelle, insuperate, dei suoi Promessi sposi dieci anni dopo.
Mette in scena per la Rai Fedra di Racine (13 dicembre: al palinsesto televisivo saranno da qui in poi riferite anche tutte le date successive).
Tra le numerosissime regìe liriche, oggi di non facile e immediata documentabilità, tra il febbraio e l’aprile allestisce alla Piccola Scala Il signor Bruschino di Rossini (direttore Gianandrea Gavazzeni) e Rita di Donizetti (direttore Nino Sanzogno).
1958
I fratelli Castiglioni di Alberto Colantuoni (10 gennaio) e La casa del sonno di Carlo Bertolazzi (10 ottobre). Dirige al Teatro delle Arti di Roma Il tacchino di Feydeau per conto della Compagnia Volonghi-Buazzelli-Lionello.
1959
Così è, se vi pare di Luigi Pirandello (prima edizione, 17 gennaio) e poco dopo, ancora di Ugo Betti, Frana allo scalo Nord (20 marzo): «Commedia ostica, difficile, che mai e poi mai mi avrebbero assegnato, perché era molto diffusa la tendenza a fare commedie popolari. La feci e fu il mio primo successo».
Faranno seguito La vedova scaltra di Carlo Goldoni (1° maggio), Un marito ideale di Oscar Wilde (22 maggio) e la prima delle sue due edizioni del Giulio Cesare di William Shakespeare (22 luglio: l’altra cadrà nel ‘65): «Prima e unica esperienza di teatro in tv rappresentato sul e ripreso dal palcoscenico. Esperienza che ha avuto un esito banale, al punto da non farne delle altre. Considero che la televisione è televisione, il teatro è teatro, questa commistione di generi non mi sembra giusta. Secondo me occorre reinventare in studio il teatro. Uno spettacolo anfibio, il cui solo merito era di divulgare Shakespeare. Ma non esiste uno stile di Shakespeare da teatro, o è teatro o è cinema o è televisione». Era infatti la pura e semplice registrazione dello spettacolo, diretto dallo stesso Bolchi nell’ambito dell’“Estate teatrale”, al Teatro Romano di Verona 3 giorni prima.
Intenso lavoro nella parte conclusiva dell’anno: Il conte Aquila di Rino Alessi il 18 settembre, Miss Mabel di Robert C. Sheriff il 9 e Giorgio Washington ha dormito qui di M. Hart e G.S. Kaufman il 30 ottobre; Ruy Blas di Victor Hugo, infine, il 4 dicembre.
1960
Riceve a Reggio Emilia, nella prima edizione dell’iniziativa ideata da Daniele Piombi, il Premio Regìa Televisiva per il miglior regista dell’anno. Se lo aggiudicherà altre quattro volte. Gli organizzatori muteranno successivamente il regolamento della manifestazione per prevenirne ulteriori affermazioni…
Vara Fine delle vecchie signore di Riccardo Rangoni 22 gennaio e l’assai più impegnativo Re Lear di William Shakespeare il 4 marzo: «Mi fu offerto da Salvo Randone che voleva fare Re Lear e mi disse: “Solo tu puoi farlo”. Allora era un attore di grande fama e in Rai ogni suo desiderio era un ordine. Ho utilizzato quattro telecamere: quella volta la Rai ci ha dato 25 giorni di riprese anzi che i soliti 18, e poi 20 giorni di montaggio. Lo spettacolo fu un successo». Completato, per una tv di Stato non adusa ancora a tirare i remi in barca alla faccia degli abbonati paganti in estate, da Tristi amori di Giuseppe Giacosa il 24 giugno, Non si dorme a Kirkwall di Alberto Perrini il 15 luglio e Anna Christie di Eugene O’Neill il 16 settembre.
1961
L’anno si apre con la triade: Spirito allegro di Noel Coward (13 gennaio), Enrico IV di Luigi Pirandello (24 marzo) e La pazza di Chaillot di Jean Giradoux (2 giugno). Poi l’inusitato exploit: La storia di Re Enrico IV, di William Shakespeare (Secondo Programma neo-inaugurato dalla RaiTV, 6 e 13 novembre): «Nacque dal fatto che si doveva inaugurare il secondo canale e allora la tv si permise il gusto un po’ snobistico di fare la “signora della cultura”: e anche dalla disponibilità di Buazzelli a interpretare Falstaff, e quindi potemmo fare queste 7-8 ore di spettacolo. Poi ho fatto una bella edizione radiofonica dell’Enrico IV. Nel tempo ho realizzato per la radio tutti i re di Shakespeare: Enrico V, Enrico VI, Enrico VIII, Riccardo II, Riccardo III.
Tra tutti questi, in Enrico IV storia e favola si mescolano meglio […].. Il teatro veniva sempre trasmesso a serata unica, mentre lo sceneggiato era programmato a puntate. Però quando il testo era di una certa lunghezza – pensiamo ad esempio a certi classici – veniva trasmesso in due serate».
Allestisce a Trieste per il locale Teatro Stabile una memorabile edizione di Un marito dell’amato Svevo, con la grande Marisa Fabbri protagonista.
Dolce chiusa d’anno La brocca rotta di Heinrich von Kleist (27 dicembre).
1962
«Con l’avvento dell’Ampex siamo arrivati al montaggio e potevamo girare scene molto corte. Quindi è cambiato molto il linguaggio: si è sveltito, i ritmi si sono fatti più stretti. Credo di averlo usato per Il mulino del Po. Il montaggio era molto relativo perché i blocchi che giravo erano già premontati, si attaccavano». L’intero anno è dedicato alla preparazione e alle riprese del suo primo grande sceneggiato ciclico. Già da quattro la strada al genere era stata aperta, soprattutto dal lavoro di Anton Giulio Majano, che ne aveva accumulato ben otto titoli (ma anche da Mario Landi, Silverio Blasi, Daniele D’Anza, Mario Ferrero, Claudio Fino, Vittorio Cottafavi, Guglielmo Morandi, Giacomo Vaccari, Eros Macchi: gli altri pionieri). Però la complessità della proposta di Bolchi fa compiere allo sceneggiato televisivo della Rai un salto di qualità estremamente incisivo.
1963
Il mulino del Po, da Riccardo Bacchelli (prima parte, sceneggiato con l’autore: cinque puntate dal 13 gennaio, Rai Programma Nazionale): «Il mio primo sceneggiato. Il direttore generale Sergio Pugliese mi chiese se l’avessi letto. Gli risposi che non conoscevo l’opera di Bacchelli e lui mi invitò a leggerlo per effettuare un lavoro sul romanzo italiano d’autore, proponendomi di realizzarne una prima serie e di chiudere la storia a pagina 455. Lessi il libro più volte e andai a Milano in via Borgonuovo da Bacchelli il quale si mostrò pienamente interessato all’esperimento e mi disse subito: “Diamoci del tu”. Cominciai a scrivere a Forte dei Marmi le varie puntate, le quali venivano poi corrette da lui con osservazioni molto intelligenti e anche molto moderne. Successivamente si passò alla scelta dell’attore e pensai immediatamente ad Alberto Lupo, ma Bacchelli propose Raf Vallone, un attore di cinema, personalità molto importante in quegli anni. In seguito andai da Vallone a Sperlonga, il quale si rese disponibile ponendo tuttavia una condizione: voleva recitare nella parte del personaggio Lazzaro Scacerni, trasgredendo alla fedeltà del testo e apparire senza barba.
Questa polemica scatenò una crisi di venti giorni terrificanti: Bacchelli voleva ritirare il copione, ma alla fine Vallone ebbe la meglio e lo stesso Bacchelli dovette rassegnarsi a questa strana scelta. Poi si definì la scenografia esterna e si andò a costruire il mulino a Ro. Cominciammo a girare in esterno.
Gli esterni per la prima volta assumono una grande importanza; prima infatti si era abituati a girare soprattutto negli interni, perché la vita esterna (una carrozza che passava, un dialogo al parco) servivano solamente per dare aria all’opera. Questa scelta innovativa era proibitiva per la televisione di allora, provocò un momento di panico; un pubblico abituato a osservare piccoli luoghi, veniva travolto dallo spazio esterno del grande fiume. Tuttavia si incominciò bene; per girare i filmati esterni disponevo di un aiuto, Salvatore Nocita».
È l’ultima grande produzione che la Rai realizza nello storico Studio 3 di Milano (e in esterni a Novi Ligure, Predosa e Rivalta Scrivia) con esclusivi mezzi propri. Bolchi si trasferisce in via definitiva a Roma con la famiglia, anche in ragione dell’annata estremamente intensa che il grandissimo successo del Mulino gli dischiude: Processo a Gesù di Diego Fabbri il 10 maggio e Il capanno degli attrezzi di Graham Greene esattamente un mese dopo. Lavora al Demetrio Pianelli, da Emilio De Marchi, su sua sceneggiatura: andrà in onda in quattro puntante dal 22 settembre.
1964
I Miserabili, da Victor Hugo (sceneggiatura di Guardamagna e Bolchi, dieci puntate, dal 5 aprile): «Ci sono un po’ di esterni, le fogne per esempio sono state girate a Roma, erano le fogne comunali. Essendo I miserabili un’opera priva di cielo, era soffocata dai tetti, tutto quanto era prigione, tutto era girato in ambienti stilisticamente scelti, come giardini finti, sale comunali, nei quali si svolgevano le scene più drammatiche: si trattava quindi di una scelta stilistica.
Fui per alcuni aspetti l’inventore dei primi piani televisivi, vale a dire raccontare con le facce, attraverso i volti dei personaggi. I miserabili mi consentì di scarnificare quel tanto di enfatico, di ridondante, di gridato perché più stringi il campo, più devi abbassare i toni delle battute e interiorizzare tutto. Le barricate furono il mio tonfo più clamoroso, qualcosa di terrificante, perché non sempre si riesce a tradurre l’idea in un’immagine che funzioni.
Sono di quelle sconfitte che ogni tanto avvengono in cinema o in televisione, perché un conto è l’idea di dire con dei dettagli, un conto è passare alle riprese con dei fucili a salve, con dei ragazzotti impreparati a creare queste piccole barricate. Fu una cosa terribile: quell’esperienza la vorrei cancellare dalla mia vita. La critica mi era affezionata e non ne fece un dramma. Anzi, dirò di più, Giuliano Gramigna mi difese dicendo: “Se ha fatto così avrà avuto le sue ragioni”. Il pubblico rimase pressoché indifferente, anche se allora la critica annoverava personaggi autorevoli come Gramigna sul “Corriere”, Morandini sul “Giorno”, Buzzolan sulla “Stampa”.
E i critici allora picchiavano. Nei miei confronti non furono duri, ma con Anton Giulio Majano, per esempio, sì: lo hanno distrutto, ingiustamente».
Lo stesso anno, Mastro don Gesualdo di Giacomo Vaccari da Verga è il primo sceneggiato per la tv realizzato su pellicola con tecnica cinematografica.
1965
Giulio Cesare di William Shakespeare (19 febbraio). «Tornai sul Giulio Cesare per poterlo fare in studio. Questo è il vero Shakespeare televisivo, ed era un modo per vedere come Shakespeare resistesse a una prova straziante, cioè alla televisione: l’avvicinarsi con la telecamera a questa orgia di primi piani, di nasi, di occhi, a questo mondo visivo».
Mette in scena alla Scala Don Pasquale di Donizetti (prima: 21 gennaio) e Gugliemo Tell di Rossini (prima: 11 febbraio), entrambe con maestro direttore e concertatore Francesco Molinari Pradelli.
1966
Sceneggia, con Aldo Nicolaj, Quinta colonna da Graham Greene, la cui regìa sarà però affidata a Vittorio Cottafavi.
1967
I promessi sposi, da Alessandro Manzoni (sceneggiatura di Bacchelli e Bolchi, otto puntate dal 1° gennaio). Gli spettatori supereranno i 18 milioni.
«Certamente non è un romanzo allegro, ma se questa pesantezza ha sedotto venti milioni di spettatori, io sono contento di questo. Si tratta certamente di un romanzo pesante, tetro, cupo, teso, piombato, con castelli, rovine. Questo è il romanzo, altrimenti si fa un altro romanzo. Io non ho capito perché hanno rifatto I promessi sposi. È chiaro che essere fedeli è noioso: un marito fedele è noioso, una moglie fedele è noiosa. È l’adulterio che è piccante. E io allora consideravo il rapporto con il romanzo in termini di fedeltà. Oggi, chiaramente, i tempi sono cambiati. Personalmente non ho potuto ricavarne grandi profitti, ma la Rai che l’ha prodotto ha potuto trarne enormi guadagni, in quanto le spese furono pressoché irrilevanti. Se non ricordo male furono investiti circa 500 milioni e si è arrivati a un incasso di oltre un miliardo e mezzo. Al montaggio abbiamo lavorato con molta calma, abbiamo lasciato passare un periodo di un mese e mezzo dalle riprese e poi in tre mesi abbiamo fatto il montaggio, l’edizione e la messa in onda. Quando lo abbiamo realizzato non c’era il colore. È un problema che non ci siamo nemmeno posti».
Del vento fra i rami del sassofrasso di René de Obaldia (2 settembre).
Presenta di persona, il 4 maggio, in tv, intervistando in proposito Achille Campanile, Cesare Zavattini e il regista responsabile della messinscena, il collega di specializzazione in sceneggiati Daniele D’Anza, la serie di episodi Tutto Totò, che ha prodotto per conto della Rai, su testi di Mario Amendola, Bruno Corbucci, Michele Galdieri e Antonello Grimaldi. Otto di essi (Il latitante, Il tuttofare, Il grande maestro, Don Giovannino, La scommessa, Totò ciak, Totò e Napoli e Premio Nobel) verranno programmati con cadenza settimanale da quella data al 6 luglio. Il nono, Totò a Natale, non andrà in onda per problemi di censura interna dell’emittente di Stato, e verrà recuperato solo trent’anni dopo da Giancarlo Governi per Rete4. Il decimo, Totò yè yè, non aveva potuto essere terminato per la morte del principe De Curtis, intervenuta il 15 aprile.
Coproduce anche per la tv (B.L. Vision), con l’amico Mario Lanfranchi che ne cura la regìa, una Traviata in forma di film per la tv, protagonista la di lui consorte, l’allora assai popolare soprano italo-americana Anna Moffo.
a cura di Nuccio Lodato
[…]
Il testo completo de “I giorni e le opere di un maestro assoluto della messinscena”, contributo a cura di Nuccio Lodato, può essere letto sulla rivista Oltre (n.170, marzo-aprile 2018).
E’ possibile acquistare la versione stampata della rivista anche online al seguente link.
Oppure è possibile acquistare l’intero servizio, in versione digitale (formato Pdf) dedicato a Sandro Bolchi al seguente link
Primopiano Sandro Bolchi
1 – Primopiano Sandro Bolchi
2 – Elogio della lentezza e del silenzio
3 – “Regìa di Sandro Bolchi”
4 – Primopiano Sandro Bolchi – I giorni e le opere di un maestro assoluto della messinscena
5 – Quattrocento attori per un solo regista
6 – Il mulino del Po
7 – I miserabili
8 – I promessi sposi
9 – Shakespeare, Dostoevskij e Tolstoj
10 – “Le nostre sono solo traduzioni”
11 – Sandro Bolchi in homevideo e streaming
12 – Per Renzo e Lucia i luoghi del cuore