6 – Il mulino del Po
Due modi diversi di interpretare Riccardo Bacchelli
Nell’intervista qui abbondantemente utilizzata, Bolchi elogiava con la schiettezza e l’onestà consuete Alberto Lattuada per il suo precedente Il mulino del Po (film del 1949):
«È un film molto bello. Lui ha fatto un’operazione su tutti i capitoli del romanzo, la sua narrazione copre tutto l’arco della vicenda. L’ho visto solo per conoscenza, ero talmente conscio che i due linguaggi erano differenti. La prima differenza è ovviamente la grandezza dello schermo, perché il mio sceneggiato per la tv si può avvalere solo di uno schermo piccolo e ristretto. La seconda riguarda il ritmo, che nel mio caso è di tipo fluviale, scandito da carrellate molto lunghe: ne ricordo infatti una lunga quattro minuti e mezzo, in piano sequenza. Nel caso di Lattuada il racconto è concentrato, nel mio è dilatato enormemente. Quindi sono due modi diversi di raccontare una stessa storia. La terza differenza riguarda la tecnica di ripresa: io lavoravo in diretta con gli attori, lui invece ricorreva al doppiaggio. Inoltre nel mio lavoro c’è molta teatralità, l’altro è invece un film secco, rapido».
Le osservazioni sono tutte appropriate: non invece l’impressione globale comparativa.
La… fluvialità del capolavoro di Bacchelli “copre” le vicende della famiglia Scacerni dalla partecipazione del “capostipite” Lazzaro alla ritirata di Russia (1812) alla morte del suo bisnipote e omonimo alla fine della prima guerra mondiale (1918). Dei 106 anni affrontabili, Lattuada negli altrettanti minuti a sua disposizione, trascrive, a soli otto anni dall’uscita del volume corrispondente, solo parzialmente la terza parte dell’opera (Mondo vecchio sempre nuovo) imperniando la narrazione sulle figure di Berta (Carla Del Poggio), Orbino (Jacques Sernas) e Princivalle (Giacomo Giuradei), sullo sfondo delle lotte sociali nelle campagne conseguenti anche all’imposizione della tassa sul macinato, nell’ultimo trentennio dell’Ottocento. Bolchi, che ha a disposizione, tra la prima parte del ’63 e la seconda del ’71 ben nove puntate per quasi dieci ore complessive, si limita nel primo accostamento a occuparsi del volume iniziale (Dio ti salvi, fatti dal 1812 al 1848).
Nel secondo, otto anni dopo, recepisce non soltanto la stessa materia di Lattuada (qui Berta è Ottavia Piccolo, Orbino Carlo Simoni e Princivalle Giorgio Trestini), ma anche quella antecedente del secondo volume di Bacchelli (La miseria viene in barca). Figura che congiunge le due parti, quella di Coniglio Mannaro, interpretato da Raoul Grassilli. Singolare che, a garanzia del lettore-spettatore, per così dire, Bacchelli accetti di partecipare alla sceneggiatura per entrambi. Nel caso di Lattuada, affiancato da un parterre de rois giovane che oggi appare incredibile (Fellini, Pinelli, Bonfantini, Musso, Comencini, Romano e lo stesso regista); a quattro mani con lo stesso Bolchi nella seconda occasione.
Primopiano Sandro Bolchi
1 – Primopiano Sandro Bolchi
2 – Elogio della lentezza e del silenzio
3 – “Regìa di Sandro Bolchi”
4 – I giorni e le opere di un maestro assoluto della messinscena
5 – Quattrocento attori per un solo regista
6 – Il mulino del Po
7 – I miserabili
8 – I promessi sposi
9 – Shakespeare, Dostoevskij e Tolstoj
10 – “Le nostre sono solo traduzioni”
11 – Sandro Bolchi in homevideo e streaming
12 – Per Renzo e Lucia i luoghi del cuore